Ciò che tutti sappiamo è che offendere o essere offesi verbalmente può avere delle serie conseguenze giuridiche. Tuttavia, c’è spesso grande confusione tra le varie fattispecie di illecito che, a seconda delle caratteristiche del caso concreto, possono configurarsi.
Quante volte capita di sentir dire che, se Tizio parla male di Caio, in assenza di quest’ultimo, con degli amici in comune, danneggiandone la reputazione, lo sta calunniando?
In verità, nel caso descritto il fatto commesso da Tizio integra tutti gli elementi costitutivi del diverso reato di diffamazione.
Per fare chiarezza, partiamo, con ordine, dall’analizzare le norme e cerchiamo, poi, di spiegare, come sempre in modo semplice, le differenze tra le diverse fattispecie in esame:
art. 4 d.lgs. 7/2016 – disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili
1. Soggiace alla sanzione pecuniaria civile da euro cento a euro ottomila:
a) chi offende l’onore o il decoro di una persona presente, ovvero mediante comunicazione telegrafica, telefonica, informatica o telematica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa;
[omissis]
2. Nel caso di cui alla lettera a) del primo comma, se le offese sono reciproche, il giudice può non applicare la sanzione pecuniaria civile ad uno o ad entrambi gli offensori.
3. Non è sanzionabile chi ha commesso il fatto previsto dal primo comma, lettera a), del presente articolo, nello stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso.
4. Soggiace alla sanzione pecuniaria civile da euro duecento a euro dodicimila:
[omissis]
f) chi commette il fatto di cui al comma 1,lettera a), del presente articolo, nel caso in cui l’offesa consista nell’attribuzione di un fatto determinato o sia commessa in presenza di più persone.
[omissis]
8. Le disposizioni di cui ai commi 2 e 3 del presente articolo si applicano anche nel caso di cui al comma 4, lettera f), del medesimo articolo.
art. 595 codice penale – diffamazione
Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a milletrentadue euro.
Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a duemilasessantacinque euro.
Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro.
Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.
art. 368 codice penale – calunnia
Chiunque, con denuncia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all’Autorità giudiziaria o ad un’altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne o alla Corte penale internazionale, incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato, è punito con la reclusione da due a sei anni.
La pena è aumentata se s’incolpa taluno di un reato pel quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a dieci anni, o un’altra pena più grave.
La reclusione è da quattro a dodici anni, se dal fatto deriva una condanna alla reclusione superiore a cinque anni; è da sei a venti anni, se dal fatto deriva una condanna all’ergastolo; [e si applica la pena dell’ergastolo, se dal fatto deriva una condanna alla pena di morte].
L’ingiuria (che prima del 2016 era un reato, previsto e punito dall’art. 594 codice penale, oggi abrogato) è l’offesa recata all’onore e al decoro di una persona che sia presente nel luogo e nel momento in cui viene proferita l’espressione lesiva del suo onore e del suo decoro e che questa possa percepirla direttamente: laddove la vittima sia più lontana, e quindi non riesca a sentire direttamente i due interlocutori parlare, non si può parlare di ingiuria, nemmeno se l’offesa subita le venisse riferita immediatamente dopo.
Come già accennato, l’Ingiuriaè stata recentemente depenalizzata e oggi è un illecito civile. Per punire l’ingiuria non si può quindi più procedere a una querela alla polizia o ai carabinieri, come avviene per la diffamazione, dovendosi bensì procedere con una causa civile, che si può promuovere nominando un avvocato. All’esito del procedimento, il giudice, laddove consideri provato il fatto e il danno, condannerà il responsabile al risarcimento del danno e a pagare una sanzione amministrativa allo Stato (da 200 euro a 12 mila euro).
Qualora l’offesa sia stata pronunciata non soltanto in presenza della vittima, ma anche di fronte ad altre persone, il fatto commesso, e quindi la sanzione che può essere irrogata dal giudice, è più grave. Naturalmente, per ottenere il risarcimento del danno si dovrà dimostrare sia che l’evento è avvenuto, ad esempio indicando come testimoni la persona o le persone che hanno udito le frasi offensive pronunciate dal responsabile nei confronti della vittima, sia il danno subito.
Commette invece il delitto di diffamazione (art. 595 c.p.) chi offende l’altrui reputazione in assenza della persona offesa e sempre che siano presenti almeno due persone. Non si ha, quindi, diffamazione quando si parla male di una persona con un’altra, ma il reato è senz’altro configurabile se l’episodio si ripete sistematicamente con altre persone, in modo tale da configurare la comunicazione, anche se non contemporanea, con più soggetti. Ad esempio: Tizio parla male di Caio attribuendogli dei fatti diffamanti, prima con Sempronio, poi con Mevio, poi con altri.
La pena prevista per la diffamazione è quella della reclusione fino ad un anno e della multa fino a € 1.032, ma se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è aumentata fino a due anni di reclusione e 2.065 euro di multa.
Infine, qualora l’offesa sia stata recato col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, la pena è della reclusione da 6 mesi a 3 anni o una multa di importo non inferiore ai 516 euro. Quindi, Se la diffamazione avviene a mezzo internet, come nel caso di un post offensivo su Facebook o una notizia veicolata su un sito internet, si ha un’aggravante. In simili ipotesi la querela può essere presentata anche alla polizia postale.
È importante sottolineare che il bene giuridico tutelato dalla fattispecie penale di cui all’art. 595 c.p. la reputazione, ossia, potremmo dire, l’opinione sociale dell’onore di una persona, il senso della dignità personale in conformità all’opinione del gruppo sociale, secondo il particolare contesto storico.
Per questo motivo a chi è vittima di diffamazione è consentito difendersi presentando una querela; è importante ricordare, infatti, che il reato di diffamazione non è procedibile d’ufficio, dal momento che è necessario che si proceda su impulso della vittima. Si dice, quindi, tecnicamente, che si tratta di un reato “procedibile a querela”. Nel dettaglio, la querela consiste nel denunciare il fatto subito chiedendo all’Autorità giudiziaria di procedere contro l’autore e può essere presentata soltanto dalla vittima del reato (è un atto cosiddetto “personalissimo” ), di regole entro i tre mesi da quando il fatto è stato commesso o comunque da quando ne è venuta a conoscenza.
Se una persona, a seguito di una diffamazione, ha dovuto sopportare l’imbarazzo di essere giudicata in modo sconveniente da altre persone, ha diritto ad essere risarcita: infatti, la giurisprudenza ritiene che il soggetto offeso possa chiedere che l’autore del fatto sia condannato anche a un risarcimento economico per il danno morale subito, il quale consiste nella sofferenza fisica o psichica che l’offeso ha dovuto sopportare a causa di un fatto illecito.
È bene precisare che offendere la reputazione altrui configura sempre il reato di diffamazione perché l’avere commesso un fatto, anche se riprovevole, non comporta la perdita del diritto all’onore e alla reputazione. È reato chiamare “ladro” il ladro, “truffatore” il truffatore e simili. Infatti, errore molto comune è quello di ritenere che, se si dice la verità, non si commetta il reato. Questo non è vero, in quanto la scriminante della cosiddetta “exceptio veritatis”, può essere applicata solo quando l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato (“Tizio ha rubato”), ma non può essere applicata se i modi usati costituiscono, di per sé, un’espressione sconveniente, idonea a ledere la altrui reputazione (“Tizio è un ladro”).
Come diretta conseguenza, se si apprende da un giornale o da qualsiasi altro organi di stampa, la notizia che Tizio è stato condannato per corruzione, riferirlo ad altri non integra un illecito, ma ciò solo nel caso in cui la notizia sia ancora attuale. Ripescare notizie vecchie, e non più di pubblico interesse, allo scopo di arrecare danno al soggetto interessato, implica la violazione del cosiddetto diritto all’oblio.
Tanto l’ingiuria quanto la diffamazione non possono essere puniti se commessi in uno stato d’ira determinato dall’aver subito, dalla stessa persona, una precedente ingiuria o diffamazione. Non costituisce quindi reato la condotta di due persona che si insultano reciprocamente. Affinché le condotte siano reciprocamente scriminate, è però necessario che la reazione sia immediata, non potendo consistere in una vendetta servita dopo molto tempo.
Dall’ingiuria e dalla diffamazione deve distinguersi il delitto di calunnia (art. 368 c.p.), molto più grave delle prime due fattispecie analizzate, in quanto, oltre alla reputazione e all’onore della persona vittima del reato, il bene giuridico tutelato è anche quello della corretta amministrazione della giustizia. La calunnia, infatti, è il delitto che si consuma quando taluno, con denuncia o querela, incolpa di un reato una persona che egli sa essere innocente, oppure simula a carico di una persona le tracce di un reato, dinanzi a una pubblica autorità. Appare evidente che, in simili casi, il danno causato dall’autore del reato non si produce soltanto a carico della persona falsamente incolpata del reato, ma anche a carico dell’intero sistema della giustizia, considerato che l’autorità giudiziaria dovrà inutilmente avviare delle indagini, stante il principio di obbligatorietà dell’azione penale, sancito dalla Costituzione.
Occorre precisare che il reato di calunnia non sussiste se si accusa una persona senza avere le prove del fatto attribuitole o con la convinzione – errata – che la legge si interpreti in un determinato modo. Affinché possa considerarsi integrato il reato, infatti, è necessario che sussista anche l’elemento psicologico del dolo: in altre parole, occorre agire in malafede.
Come accennato, le pene per la calunnia sono molto severe: è prevista infatti la reclusione da 2 a 6 anni, aumentata nel caso in cui si incolpi qualcuno di un reato particolarmente grave: segnatamente, se dal fatto deriva una condanna alla reclusione superiore a 5 anni la sanzione prevede la reclusione da 4 a 12 anni, mentre, se dal fatto deriva una condanna all’ergastolo, la reclusione va dai 6 ai 20 anni.
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito ormai da lungo tempo che non è necessario che sia effettivamente iniziato un procedimento penale a carico della persona offesa dal reato, essendo sufficiente la mera potenzialità che un tale procedimento si avvii.
Si ha calunnia anche quando una persona simula a carico di un’altra le tracce di un reato.
Chi è stato calunniato può a sua volta presentare una controdenuncia; tuttavia, per ottenere il risarcimento del danno sarà necessario che provi tanto la sua innocenza quanto che il calunniatore fosse pienamente consapevole della falsità dei reati attribuiti.
Trattandosi di un reato molto più grave della diffamazione, la calunnia è sempre procedibile d’ufficio; ciò significa le autorità giudiziarie potranno dare inizio al procedimento penale anche senza l’impulso della parte offesa.
Per la calunnia, inoltre, la legge prevede la possibilità dell’applicazione di misure cautelari al presunto colpevole, cosa che non è mai ammessa nell’ipotesi di diffamazione.